Terapia del dolore

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Chi ha poca dimestichezza con la medicina o le pratiche ospedaliere spesso associa l’espressione “terapia del dolore” solo ad un ambito di malati terminali, dove è risaputo che è presente un enorme stato di sofferenza: una vera e propria “terapia del dolore” è invece anche una normale pratica della medicina veterinaria.

Se cerchiamo di trasportare questo concetto del dolore e della sofferenza nei nostri piccoli amici animali (cani, gatti e piccoli mammiferi) le cose non sembrano più tanto ovvie e scontate: prima di tutto ci scontriamo con la difficoltà di comprendere e stabilire il grado di dolore in un animale in quanto, non essendo dotati di parola, non possono comunicarci il loro stato di malessere. Anzi molto spesso ci si immagina che le risposte al dolore di un cane, di un gatto o di un coniglio siano uguali a quelle umane attendendoci lamenti, lacrime, stati di agitazione, ecc: le cose purtroppo non sono così automatiche.

Riconoscere e dare valore alla percezione del dolore da parte di un animale è cosa molto difficile e complessa: non a caso, all’interno della branca della medicina veterinaria chiamata anestesiologia, sono state costruite delle apposite “scale” di valutazione, che aiutano il medico veterinario “anestesista” a stabilire con una certa oggettività e precisione l’intensità dello stimolo dolorifico che sta affliggendo l’animale. Queste scale prendono in considerazione diversi fattori: l’attività (un animale con dolore riduce spesso la sua attività normale), l’aspetto esteriore (un gatto, per esempio, può smettere di toelettarsi regolarmente), eventuali vocalizzazioni (non sempre riferibili a guaiti o mugolii), il comportamento alimentare (l’animale tende a non voler alimentarsi o a modificare radicalmente l’approccio al cibo) e l’alterazione di alcuni parametri fisiologici, dovuti alla liberazione di alcuni ormoni o sostanze (come per esempio le catecolamine o il cortisolo), che inducono delle variazioni significative e spesso pericolose anche per la sopravvivenza e la salute dei nostri piccoli amici. Solo attraverso una scrupolosa osservazione e raccolta di segni e sintomi è possibile arrivare ad avere una reale percezione dello stato di dolore, per non rischiare di sottovalutare o sopravvalutare la reale situazione.

Per orientarsi in questo affascinante, ma anche inquietante, mondo della fisiologia del dolore, è necessario sapere che non tutte le percezioni del dolore sono uguali; anzi le percezioni nocicettive (così vengono definite in gergo medico) possono essere generate da stimoli differenti, ottenendo in questo modo delle risposte altrettanto differenti. Se uno stimolo è intenso e limitato nel tempo si otterrà un dolore forte e acuto, se uno stimolo presenta poca intensità ma protratta nel tempo, si otterrà un dolore cronico e ottuso. Lo stesso dicasi per il tipo di stimolo: il dolore provocato da un taglio chirurgico è differente, e minore, rispetto a quello provocato da un morso. Nel secondo caso esiste una lacerazione dei tessuti e conseguente necrosi con liberazione di moltissime sostanze infiammatorie che aumentano la percezione del dolore e la sostengono nel tempo.

Inoltre esiste una componente emotiva nella percezione di questi stimoli, nel senso che alcune specie animali sono maggiormente sensibili al dolore e lo manifestano anche ad intensità basse (esempio i coniglietti da compagnia), mentre altre lo sopportano di più (e anche all’interno delle diverse razze di cani vi sono sensibilità estremamente differenti, pensiamo a un chihuahua rispetto a un labrador o a cani da lavoro).

La struttura e le componenti anatomiche e fisiologiche che generano il dolore sono molteplici e convergono tutte sulla stessa sensazione di malessere e sofferenza: in un certo senso le strade che arrivano allo stesso punto, quello in cui viene “sentito” il dolore, sono tante ed è impossibile immaginare di mettere un solo “semaforo rosso”: le vie collaterali e le stradine da cui possono arrivare i vari stimoli dolorifici sono tantissime. In questo senso non può quindi esistere una terapia del dolore che si componga di un singolo farmaco, perché significherebbe immaginare che esista una sola strada, ma sarà sempre necessario integrare più sostanze e tecniche che siano in grado di bloccare più vie nello stesso tempo. Il lavoro del medico veterinario è quello di sapere scegliere ed integrare tutti questi saperi ed articolarli in una procedura che sappia rispondere di volta in volta al tipo di dolore in essere o, meglio ancora, a prevenire il dolore che possa insorgere.

Nel nostro ambulatorio l’attenzione al dolore è molto alta: soprattutto negli interventi chirurgici, ma in tutte le manipolazioni, consideriamo indispensabile provocare la minor sofferenza possibile agli animali reputando questa attenzione un preciso dovere professionale e un imperativo etico nei confronti di altri esseri senzienti, pur diversi da noi.

Una adeguata terapia del dolore viene quindi prevista per qualsiasi intervento chirurgico, dalla “banale” castrazione del gatto maschio agli interventi ortopedici molto dolorosi: una terapia analgesica che intervenga già prima che l’animale venga addormentato, che protegga dal dolore l’organismo anche durante l’anestesia e che prosegua per il periodo postoperatorio.